Lesioni dell’unità flessoria
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Chi scala a Finale con costanza, così come a Grotti o in altre falesie o aree boulder a buchi come Margalef o Frankenjura, l’avrà sicuramente incontrato per esperienza diretta o indiretta: si sta tirando un buco a dita stese (a 1, 2 o 3 dita – la costante è che vi è sempre uno o più dita che non partecipano attivamente alla presa, ma restano flesse; il dito in questione spesso è il mignolo), e mentre si fa un movimento per andare a una presa successiva oppure a seguito di un carico improvviso dovuto alla perdita di un appoggio, parte una fitta più o meno forte nella zona compresa tra dita e gomito.
Le strutture che possono rimanere coinvolte in uno scenario simile sono principalmente tre: i muscoli lombricali, il muscolo flessore profondo e il suo tendine/guaina. Vengono spesso riassunti nel termine “Unità flessoria”.
Anatomia
Nell’immagine è ben rappresentato il tendine del flessore profondo con la sua guaina – si inserisce sull’ultima falange di ciascun dito, mentre il ventre del muscolo origina dall’ulna e si trova nell’avambraccio. I muscoli rappresentati in verde sono i muscoli lombricali, che originano dal tendine flessore profondo delle due dita adiacenti e si inseriscono su un’espansione del tendine estensore a livello dell’ultima falange.
Meccanismo
Il meccanismo per cui queste strutture vengono lesionate quando si scala sui buchi è il cosiddetto “Quadriga effect’’.
In questo caso il tendine dell’anulare che tiene la presa genera un vettore di forza che dalla mano esce verso la presa. Il tendine del dito adiacente che rimane flesso genera un vettore di forza che invece va nella direzione opposta, ovvero dalla mano verso l’avambraccio. La struttura che si trova tra questi due tendini è il muscolo lombricale, che subisce uno stiramento in due direzioni opposte.
Basta un picco di carico, che spesso ha le caratteristiche di un carico eccentrico come quando scappa un piede oppure durante un movimento dinamico per raggiungere un’altra presa, perché si raggiunga il punto di cedimento dei tessuti.
Valutazione
I tessuti che possono rimanere coinvolti in questo infortunio, come abbiamo visto, sono più di uno, e spesso la lesione può interessare più di una struttura contemporaneamente.
Lo scenario più grave, ma per fortuna molto raro, è una lesione completa del tendine flessore profondo. È abbastanza facile da identificare in quanto sul dito interessato sarà impossibile flettere l’ultima falange attivamente, e chiudendo la mano a pugno la falange resterà dritta. In quel caso, il mio consiglio è avere una conferma rapida con un esame strumentale come un’ecografia, per poi rivolgersi a un ortopedico specializzato.
Una volta esclusa una lesione completa del tendine, il resto delle lesioni può essere quasi sempre trattato in maniera conservativa, a patto che venga fatta una diagnosi accurata. Le lesioni possibili includono: una lesione al muscolo lombricale, una lesione alla guaina del tendine oppure uno strappo muscolare al muscolo flessore profondo. Spesso si ha a che fare con una combinazione di questi fattori. Per ragioni di sintesi ci concentreremo sullo scenario più frequente, ovvero una lesione al muscolo lombricale.
Trattamento
Partiamo dalle tempistiche: il tempo di guarigione medio di una lesione semplice all’unità flessoria è di 12 settimane circa, durante le quali si passa progressivamente i tre stadi di guarigione dei tessuti: fase infiammatoria, proliferativa e di rimodellamento.
La buona notizia è che spesso queste lesioni non costringono a stop prolungati. A seconda della gravità della lesione, livello di dolore e capacità di carico (quanto carico si tollera in assenza di dolore), consiglierei uno stop iniziale di 5-10 giorni. Poi lo step successivo è determinare i parametri all’interno dei quali operare.
L’arrampicata è possibile, ma per non sollecitare eccessivamente il tessuto in guarigione, andranno rispettati i seguenti punti:
- Dimezzare il volume (n. di sessioni, durata delle sessioni, n. di tiri/blocchi provati).
- Abbassare l’intensità (non superare il grado a vista).
- Evitare buchi e prese a mano aperta; favorire tacche e prese da arcuare.
- Utilizzare il cosiddetto “Buddy-taping” per le prime 3-6 settimane.