Il rapporto tra allenamento a secco e pratica in parete

Il rapporto tra allenamento a secco e pratica in parete

Rileggendo un famoso articolo di Steve Bechtel, ho rivisto un suo grafico che esemplificava il rapporto in percentuale tra allenamento “a secco” (che include tutte le modalità di lavoro fatte senza scarpette, dal trave, ai pesi, allo yoga, al pan gullich ecc…) e pratica in parete (che invece include tutto ciò che è allenamento e pratica deliberata con le scarpette).

Ormai da più di un anno, per via di questa pandemia, purtroppo questo rapporto si è inevitabilmente sballato, diventando per molte persone 100% secco, 0% pratica. Questo ha delle grosse ripercussioni, che la maggior parte di noi ignora, o non ha del tutto chiare; per cui ho pensato di affrontare il tema.

Il dato evidente da cui partire è che in questi ultimi anni l’allenamento in arrampicata sta iniziando ad essere sempre più studiato, e la sua validità comprovata: complice da una parte l’esplosione dei social media e la vetrina che questo costituisce per le mille forme di allenamento possibili (e non sempre sensate, diciamolo), dall’altra l’uscita di sempre più studi scientifici solidi sull’argomento, l’allenamento in arrampicata è diventato “di moda”.

Questo ha determinato un cambiamento nella visione delle persone che praticano questo sport, in particolare quelle che lo praticano da pochi anni: se nei primi anni 2000 non si parlava di allenamento, avendo come figure di riferimento Sharma e Dave Graham che sembravano “scalare e basta”, progressivamente si è tornati a darci sempre maggior peso. Ad oggi, se una persona non riesce a fare la prestazione che si aspetta su roccia, la risposta di default è quella di tornare ad appendersi al trave. Ma spesso ci si dimentica che noi non siamo “travisti”, o “pangullisti”: siamo arrampicatori. Eppure sembrerebbe che in questo sport sfugga ciò che in molti altri sport di skill (vedi baseball, basket, skateboard, ecc…) è ormai semplicemente pratica quotidiana: l’allenamento di forza o a secco serve, ma la maggior parte del tempo e dell’allenamento deve includere il gesto specifico dello sport stesso.

Un giocatore di NBA si allena sicuramente in palestra per migliorare i parametri fisici che gli servono in quel specifico momento della stagione; ma questa è una percentuale limitata rispetto all’allenamento che fa in campo e con la palla.

E non è una questione di compensare carenze fisiche con qualità tecniche, perché anche quello è intrinsecamente sbagliato: si tratta di allenare le carenze fisiche in una maniera specifica. La specificità è uno dei principi base dell’allenamento; significa, semplificando, che se io mi alleno a fare una cosa (es: trazioni con sovraccarico) migliorerò al 100% in quella cosa specifica, mentre il transfer di quel miglioramento in un altro gesto (es: arrampicata) sarà progressivamente minore a seconda della differenza tra cosa allenata e gesto.

Quando parlo del 75% di allenamento shoes on non sto parlando di arrampicata “libera” o senza intento: parlo (anche) di forme di allenamento specifiche, ma che vengano fatte usando una modalità molto più simile al gesto finale e che quindi mi assicurino un transfer molto più alto.

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